Macina del Mulino Ripamonti |
Le macine
Sono sicuramente la parte più importante della macchina molitoria, il prodotto dipendeva, dalla loro qualità e dal perfetto stato di manutenzione.Il materiale che costituisce la macina del Mulino Ripamonti è un conglomerato di rocce nelle quali i ciottoli (clasti) sono arrotondati e formati da calcare, feldspato, quarzo, mica e silice, il sasso proviene dalle vicine cave di Montorfano e viene denominato "Ceppo".
La macina (leggermente convessa) ha un diametro di 1 metro e 30 centimetri, una altezza di 27 centimetri e ruotava ad una velocità di circa 80 giri al minuto.
Quella inferiore denominata mola è costituita da formazioni rocciose di Gonfolite veniva tenuta ferma su tre lati da travicelli, mentre al quarto lato aveva un scanaltura per la fuoriuscita del macinato.
La mola del Mulino Ripamonti. |
Manutenzione delle macine
L’elemento che richiedeva una maggiore cura da parte del mugnaio era la macina. Questa, infatti, col tempo subiva l’erosione della sua superficie a causa del continuo attrito.
Tutto ciò provocava una sorta di sbilanciamento e una minor efficienza del lavoro effettuato, di conseguenza la macina era soggetta a periodiche revisioni.
Per effettuare tali lavori era necessario spostare la macina dalla sua sede con un operazione per nulla semplice viste le dimensioni e il peso (120-130 cm x 400-700 kg); pertanto veniva utilizzato il palanchino (vedi figura) uno strumento costituito da una trave verticale metallica o di legno e da due braccia metalliche a semicerchio, provviste all’estremità di perni applicabili ai fori presenti nel bordo della macina.
Grazie a questo attrezzo era possibile sollevare le macine e posarle in modo tale da poter intervenire dove era necessario.
Smontata la macina si procedeva quindi a ripristinare la scanalatura incidendo con un piccolo piccone dal manico corto i solchi consumati.
La nuova superficie doveva essere perfettamente equilibrata, e, per ottenere questo risultato, si scavava un nuovo piano sulla macina in modo tale da poter lavorare su un piano senza dislivelli.
Dopodiché si ridisegnava la scanalatura a raggiera: le superfici tra i solchi presentavano una porzione piana e un'altra inclinata verso la scanalatura: mentre la prima, per uniformare la superficie viene battuta con la bocciarda, un martello dotato di piccole punte piramidali adatto a mantenere la superficie sufficientemente zigrinata, la parte inclinata si lavora con semplici martelli a percussore piano, utilizzati dalla parte a cuneo per praticare piccoli taglietti sempre procedendo dalla periferia verso il centro.
Finito tale lavoro la macina doveva essere riposta nella sua sede in perfetto equilibrio su un solo perno.
Per far si che la macina superiore girasse su un piano parallelo a quello della macina inferiore, esse dovevano essere messe "in sesto".
Questa era un'operazione molto delicata che doveva essere eseguita sia la prima volta che veniva messa in opera una macina, sia dopo la ribattitura, sia ogni volta che usciva di sesto. Un legnetto della lunghezza pari al raggio della macina inferiore veniva imperniato sul ferro. All'estremità opposta veniva infisso, perpendicolarmente, un chiodo in modo tale che la sua punta era rivolta verso il letto della macina. Esso veniva fatto girare e si vedeva dove toccava e dove no.
Tramite piccoli spostamenti della base del ritrecine, ossia della ralla, e tramite l'apposizione di zeppe di legno a livello della bronzina, veniva realizzata la perfetta ortogonalità fra l'asse del ritrecine ed il piano di rotazione delle macine. Veniva poi appoggiata la macina superiore sul nadicchiale e si provava a farla oscillare leggermente. Se il suono prodotto quando questa veniva alzata da un bordo era uguale a quello che produceva quando veniva lasciata allora si trovava in sesto.
Il piano di rotazione delle macine era leggermente inclinato all'indietro rispetto al foro di fuoriuscita della farina. Questo per ottenere una macinazione migliore.
Tutte queste operazioni potevano essere svolte direttamente dal mugnaio o in tempi più recenti da persone specializzate, i cosiddetti rabbigliatori.
Se ben mantenute, le macine potevano durare 25 anni quella superiore rotante e 50 anni quella inferiore (fissa).
La matrice, che costituisce l’impasto legante di questo sasso, è data da sabbie e limi, sempre di origine fluviale.
Il tutto è cementato da carbonato di calcio, proveniente dalla dissoluzione chimica delle rocce calcaree presenti in zona.
Il materiale che costituisce il sasso chiamato all’epoca “ceppo” era usato sia per produrre macine da mulino che rivestimenti per le facciate delle ville dei notabili locali.
Scriveva un geologo dell’epoca:”…. l’abbondanza delle parti calcarie, il cemento tenero e di poca consistenza, e la quantità di sabbia che vi è unita rendono tali macine molto difettose, e la farina che si ottiene da esse non è esente da parti terrose......”.
Proprio per questo si è preferito realizzare le stesse con la più famosa e resistente Molera, composta dalla Formazione della Gonfolite (Oligocene - 30 Milioni di Anni fa).
Tutte queste macine (difettose) sono ancora ben visibili nella località di Inverigo, come elemento decorativo lungo i muri a secco che attorniano Villa Crivelli.
Nonostante questi aspetti di scarsa qualità, il Ceppo è sempre stato ampiamente utilizzato nella zona lombarda, data la sua buona reperibilità a costi molto bassi e competitivi rispetto ad altri materiali lapidei, la sua facile lavorabilità, la sua bassa durezza.
Smontata la macina si procedeva quindi a ripristinare la scanalatura incidendo con un piccolo piccone dal manico corto i solchi consumati.
La nuova superficie doveva essere perfettamente equilibrata, e, per ottenere questo risultato, si scavava un nuovo piano sulla macina in modo tale da poter lavorare su un piano senza dislivelli.
Dopodiché si ridisegnava la scanalatura a raggiera: le superfici tra i solchi presentavano una porzione piana e un'altra inclinata verso la scanalatura: mentre la prima, per uniformare la superficie viene battuta con la bocciarda, un martello dotato di piccole punte piramidali adatto a mantenere la superficie sufficientemente zigrinata, la parte inclinata si lavora con semplici martelli a percussore piano, utilizzati dalla parte a cuneo per praticare piccoli taglietti sempre procedendo dalla periferia verso il centro.
Finito tale lavoro la macina doveva essere riposta nella sua sede in perfetto equilibrio su un solo perno.
Per far si che la macina superiore girasse su un piano parallelo a quello della macina inferiore, esse dovevano essere messe "in sesto".
Questa era un'operazione molto delicata che doveva essere eseguita sia la prima volta che veniva messa in opera una macina, sia dopo la ribattitura, sia ogni volta che usciva di sesto. Un legnetto della lunghezza pari al raggio della macina inferiore veniva imperniato sul ferro. All'estremità opposta veniva infisso, perpendicolarmente, un chiodo in modo tale che la sua punta era rivolta verso il letto della macina. Esso veniva fatto girare e si vedeva dove toccava e dove no.
Tramite piccoli spostamenti della base del ritrecine, ossia della ralla, e tramite l'apposizione di zeppe di legno a livello della bronzina, veniva realizzata la perfetta ortogonalità fra l'asse del ritrecine ed il piano di rotazione delle macine. Veniva poi appoggiata la macina superiore sul nadicchiale e si provava a farla oscillare leggermente. Se il suono prodotto quando questa veniva alzata da un bordo era uguale a quello che produceva quando veniva lasciata allora si trovava in sesto.
Il piano di rotazione delle macine era leggermente inclinato all'indietro rispetto al foro di fuoriuscita della farina. Questo per ottenere una macinazione migliore.
Tutte queste operazioni potevano essere svolte direttamente dal mugnaio o in tempi più recenti da persone specializzate, i cosiddetti rabbigliatori.
I Rabbigliatori
Erano persone esperte nelle varie qualità della pietra, che lavoravano diversamente secondo la forza impiegata ed il tipo di cereali da macinare. Essi eseguivano la battitura più adatta per ottenere il prodotto desiderato. Nel lavoro di battitura, effettuato con speciali martelletti, le mani del rabbigliatore o battitore si riempivano di piccole schegge di ferro che rimanevano sotto pelle: è per questo motivo che venivano chiamati gli uomini "dalle mani nere".Se ben mantenute, le macine potevano durare 25 anni quella superiore rotante e 50 anni quella inferiore (fissa).
Bocciarda Martellina e Picozza gli attrezzi per solcare le macine |
Nell'impatto con la durezza della roccia i martelli perdevano rapidamente la loro capacità di incisione. Per questo dovevano essere costantemente affilati e temprati. E non è un caso se vicino ad ogni mulino si trovasse un tempo anche una fucina.
Origine del sasso di Montorfano
da cui provengono le macine del Mulino Ripamonti
La matrice, che costituisce l’impasto legante di questo sasso, è data da sabbie e limi, sempre di origine fluviale.
Il tutto è cementato da carbonato di calcio, proveniente dalla dissoluzione chimica delle rocce calcaree presenti in zona.
Il materiale che costituisce il sasso chiamato all’epoca “ceppo” era usato sia per produrre macine da mulino che rivestimenti per le facciate delle ville dei notabili locali.
Scriveva un geologo dell’epoca:”…. l’abbondanza delle parti calcarie, il cemento tenero e di poca consistenza, e la quantità di sabbia che vi è unita rendono tali macine molto difettose, e la farina che si ottiene da esse non è esente da parti terrose......”.
Proprio per questo si è preferito realizzare le stesse con la più famosa e resistente Molera, composta dalla Formazione della Gonfolite (Oligocene - 30 Milioni di Anni fa).
Tutte queste macine (difettose) sono ancora ben visibili nella località di Inverigo, come elemento decorativo lungo i muri a secco che attorniano Villa Crivelli.
Nonostante questi aspetti di scarsa qualità, il Ceppo è sempre stato ampiamente utilizzato nella zona lombarda, data la sua buona reperibilità a costi molto bassi e competitivi rispetto ad altri materiali lapidei, la sua facile lavorabilità, la sua bassa durezza.
Cava di massi per macine da mulino |
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